Queste riflessioni, davanti a una platea calorosa di alunni delle scuole, Nibali le fa al Museo Città delle Biciclette di Alessandria dove il corridore siciliano, oltre a concedersi con scioltezza all’incontro coi ragazzi arruolati come incalzanti reporter, ha lasciato in esposizione tre magnifiche biciclette, tre Wilier che Vincenzo ha utilizzato in corsa, alle quali è stata dedicata una splendida saletta del Museo di Palazzo Monferrato, il museo che ripercorre l’avvincente storia della bicicletta in Italia.
Un Nibali disinvolto, per nulla pentito della sua scelta di ritirarsi. «Sì, ragazzi, non ho rimpianti», dice Vincenzo di fronte a una bambina particolarmente curiosa. «Certe volte, quando vedo le corse in tv, mi viene voglia di essere lì, in mezzo al gruppo, di vedere i vecchi amici e i nuovi corridori che ogni anno arrivano. Subito dopo però la voglia mi passa… Mi basta pensare a tutti gli allenamenti di 4 e 5 ore al giorno che per 18 anni ho dovuto fare per essere competitivo. Una bella vita, certo, ma con tanti sacrifici…Credo d’aver avuto una buona carriera. Ho vinto corse importanti, certo mi manca un Mondiale e una Olimpiade… Ma non si può avere tutto… Un rimpianto particolare ce l’ho proprio per quella caduta ai Giochi di Rio, persi per un tubolare uscito di pochissimo dalla strada. Forse avrei vinto, chissà… Ma lo sport insegna anche queste cose: che ogni volta, quando perdi o non riesci a farcela, devi domandarti dove hai sbagliato per non cadere più nello stesso errore…. Essere campioni significa anche questo….».
Un altro alunno, molto concentrato, gli domanda: non ti è mai venuta voglia di mollare tutto…? «Beh, tante volte», precisa Nibali strizzando l’occhio. «Quando le gambe non girano, sempre viene voglia di fermarsi…. Poi guardavo le facce dei miei direttori sportivi e degli sponsor e cambiavo idea… Un brutto momento è stato al Tour de France 2018 quando, per colpa di un tifoso troppo focoso, sono caduto sulla salita dell’Alpe d’Huez fratturandomi una vertebra. A parte il dolore, ho avuto paura di non riuscire più a tornare competitivo come prima. Ma in quella salita è così: si preferisce privilegiare lo spettacolo che danno i tifosi alla sicurezza dei corridori…».
Sul tema della sicurezza si torna ancora. «Io nella mia carriera di rischi ne ho corsi tanti», osserva Nibali. «Però alla fine mi è andata sempre bene. I pericoli in strada comunque sono molti. Penso a Michele Scarponi a Davide Rebellin…. In Italia purtroppo siamo molto indietro. In Europa le piste ciclabili sono dovunque. E poi c’è una maggiore attenzione, un maggior senso civico. In Italia siamo molto indietro. Capisco quando alcuni genitori hanno paura di mandare i loro figli in strada in bicicletta. Penso sia meglio farli correre sulle Bmx in percorsi protetti, dove possono correre senza minacce esterne. Dopo, se vogliono andare avanti, possono farlo ma gareggiando in percorsi protetti….».
Il discorso torna sul ciclismo attuale, sul fatto che in Italia non c’è un nuovo Nibali…. «Sì, al momento non ne vedo all’orizzonte. A volte capita, bisogna aver pazienza….Su Ganna sono curioso di vedere cosa farà… Alla Sanremo l’ho visto bene, mi è piaciuto. Sul Poggio era con i migliori, con Van Der Poel, che poi ha fatto uno scatto pazzesco e in cinquecento metri li ha lasciati tutti indietro. Però Ganna c’era. Mi sembra insomma che sia sulla buona strada per far bene non solo a cronometro. Chi mi piace in modo pazzesco è Pogacar. È un corridore incredibile che dà sempre battaglia. A volte perfino troppo, ma è uno spettacolo guardarlo. Alla Sanremo gli è andata male, ma è sempre davanti. Forse nelle classiche dovrebbe essere più prudente, ma è ancora giovanissimo. L’esperienza lo aiuterà. Dei nuovi campioni ogni tanto mi rivedo in Remco Evenepoel. Mi entusiasma il suo modo di improvvisare attacchi che spiazzano gli avversari. Sono curioso di vedere cosa si inventerà ancora…».